L’Osteoporosi come noto è una malattia sistemica dello scheletro caratterizzata da una ridotta mineralizzazione e da alterazioni microarchitetturali che si accompagnano ad una aumento del rischio di frattura per traumi non efficienti o anche in assenza di traumi.
Viene generalmente considerato trauma non efficiente quello causato dalla caduta dalla propria altezza. La resistenza dell’osso è correlata per circa il 70 % alla quantità della sua mineralizzazione mentre per la restante parte è correlata ad altri aspetti come per esempio la quantità di perforazioni delle trabecole che lo costituiscono o anche la qualità dei cristalli di fosfato di calcio (idrossiapatite) che si depositano sulla matrice proteica (il collagene). Si considera che la relazione tra la densità minerale ossea (Bone Mineral Density) e rischio di frattura sia superiore a quella esistente tra colesterolemia e rischio di infarto del miocardio o tra ipertensione arteriosa e rischio di ictus; inoltre al di sotto di certi valori di mineralizzazione il rischio di frattura aumenta di molto anche per piccole variazioni negative, e di converso si riduce di molto anche per piccoli miglioramenti ottenuti farmacologicamente. Ma se la densità minerale ossea è rilevante nel conferire resistenza allo scheletro è da considerare che un altro fattore importante ed indipendente da essa nel determinismo del rischio di frattura è l’età. Infatti a parità di mineralizzazione il rischio aumenta con l’aumentare dell’età raddoppiandosi ogni 5-10 anni. Esistono anche altri fattori di rischio di frattura aggiuntivi ed indipendenti dalla massa ossea come per esempio il basso Indice di Massa Corporea (BMI), il fumo, l’anamnesi personale di precedenti fratture, l’anamnesi familiare di primo grado per frattura da fragilità ed anche l’uso cronico di corticosteroidi. Pertanto la densità minerale ossea e gli altri fattori da essa indipendenti concorrono autonomamente al rischio di frattura. È così evidente che il rischio per il singolo paziente aumenta in caso di contemporanea presenza di uno o più di tali fattori. La valutazione integrata del rischio assoluto di frattura – la valutazione cioè che tiene conto non solo del BMD, ma anche di altri fattori di rischio ed in un arco di tempo ragionevole (per esempio i successivi 10 anni) – è così oggi l’atteggiamento condiviso dalla comunità scientifica per scegliere se trattare o meno il paziente.
La stima del rischio di frattura è infatti fortemente condizionata oltre che dal valore di densità minerale ossea valutata con le comuni tecniche densitometriche anche dalla presenza o meno degli specifici fattori di rischio clinici sopra riportati.
La possibilità di integrare tutte queste variabili (BMD e fattori di rischio clinici) in uno specifico algoritmo per il calcolo del rischio di frattura individuale nei 10 anni successivi è una relativamente recente acquisizione attraverso la quale si è passati da un atteggiamento clinico in cui la soglia diagnostica equivaleva alla soglia terapeutica (cioè si procedeva quasi d’ufficio al trattamento farmacologico di tutti i pazienti che presentavano valori densitometrici coincidenti con diagnosi di Osteoporosi) ad un diverso modo di approcciarsi alle scelte tenendo cioè conto del rischio individuale di frattura del paziente nei 10 anni a venire. Detto questa resta comunque il problema di stabilire a quale soglia di rischio di frattura decidere di intervenire (10%?, 15%?, 20%?): ciò è ancora in parte fonte di dibattito a testimonianza del fatto che gli algoritmi per la stima del rischio di frattura non intendono sostituirsi al giudizio del clinico, ma solo fornire un indirizzo affinché le scelte cliniche siano meglio ponderate. È evidente come la scelta del livello o soglia di intervento dipenda essenzialmente dalla individuazione del rapporto Costo/Beneficio e che quest’ultimo è strettamente correlato al costo del farmaco ed ai costi che si intendono sostenere (sia a livello di SSN, ma anche individuale) per la prevenzione delle frattura da fragilità.
Il FRAX è l’algoritmo sviluppato dalla Organizzazione Mondiale della Sanità. Esso è utilizzabile online direttamente dal sito web specifico oppure è anche disponibile come applicazione per iPhone, iPod. Molto recentemente il SW è stato anche integrato nel referto densitometrico di due importanti produttori di densitometri ossei (Hologic e GE ). Nel FRAX i fattori di rischio clinici di frattura considerati sono l’età, il BMI, il fumo, l’uso di steroidi, l’abuso alcolico, l’anamnesi personale di frattura da fragilità, l’anamnesi familiare di primo grado per frattura di collo di femore. Fatta eccezione per i primi due (variabili continue) gli altri sono variabili dicotomiche (cioè è consentita solo la risposta sì o no in base alla loro presenza o assenza).
Il DeFRA (Derivato dal FRAX) è un algoritmo attualmente disponibile in Italia su chiavetta USB con possibilità di archiviare i dati di ogni singolo paziente. Esso prende in considerazione gli stessi fattori di rischio clinici utilizzati dal FRAX (dal quale deriva), ma con la possibilità di meglio dettagliarne alcuni. È così che mentre nel FRAX il fattore di rischio fumo consente di fornire solo la risposta dicotomica (si o no) nel DeFra la risposta affermativa prevede la diversificazione a seconda del numero di sigarette fumate (maggiore o minore di 10 al giorno). O ancora mentre nel FRAX l’anamnesi personale di pregresse fratture consente solo la risposta dicotomica sì o no, nel DeFra, in caso di anamnesi di pregressa frattura è prevista la possibilità di specificare se una o più di una. Un altro importante fattore di rischio meglio definibile nel DeFra rispetto al FRAX è l’uso cronico di steroidi: infatti nel DeFra è possibile specificare se l’utilizzo è superiore o inferiore ai 5 mg/die di equivalente prednisonico.
È evidente che tali affinamenti consentono di meglio modulare la stima in quanto il fattoriale di rischio cambia in base non solo alla presenza o assenza del fattore di rischio stesso, ma anche in base alla sua quantificazione.
In relazione alla accuratezza e precisione delle metodiche oggi disponibili è possibile delineare l’uso della Mineralometria Ossea:
- quantificare la mineralizzazione ossea fornendo così uno dei fattori di rischio di frattura;
- quantificare le variazioni della mineralizzazione ossea dipendenti dall’invecchiamento o dall’uso di farmaci osteoattivi.
Come per qualsiasi altra indagine strumentale l’appropriatezza della richiesta sarà soddisfatta se:
- il risultato della indagine avrà implicazioni terapeutiche;
- l’eventuale trattamento modificherà il decorso della malattia.
Le tecniche di misurazione oggi disponibili sono:
- DEXA;
- QTC;
- QUS.